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17 ottobre 2012 3 17 /10 /ottobre /2012 15:52

È notte inoltrata.  Pitt è stremato dalla fatica. Nelle ultime ore ha tentato di interrogare Charlotte Miller, rinchiusa nella prigione di Dreaming Street, ma i suoi sforzi hanno prodotto un ben misero raccolto. La donna ha preferito chiudersi in un silenzio ostinato, rotto soltanto in pochissime occasioni. Sa che per lei è tutto finito e che le sue colpe la condurranno fatalmente alla condanna a morte. Non le interessa, perciò, facilitare il compito dell’investigatore e mantiene un atteggiamento passivo, talvolta attraversato da momenti di aperta derisione. Ad un certo punto Pitt, convintosi dell’inutilità dei suoi tentativi, si è arreso ed ha lasciato la Miller al suo destino. Dopo una veloce capatina a casa, il sovrintendente si è recato, in compagnia di Burton, Talbot e Tellman, nell’ufficio del suo capo, il colonnello Woodside, allo scopo di ragguagliarlo circa il caso e il suo felice esito. E così, poco prima di mezzanotte, la riunione può dirsi aperta, sotto il benigno patrocinio di un Woodside che stentava a celare il suo compiacimento.

Il locale in cui i cinque si trovavano era ampio e confortevole. I muri erano rivestiti con pannelli di legno di rovere e nel camino ardeva un grosso ciocco di rovere, sprigionando di tanto in tanto fasci di vivide faville che salivano roteando nella cappa.  Su un angolo del tavolo sistemato al centro del locale era stato posato un vaso di giacinti. Accanto al vaso, una bottiglia piena di un liquido ambrato spiccava in mezzo ad una mezza dozzina di  solidi bicchieri dal vetro con rilievi a sbalzo. Ogni tanto, una delle persone presenti nella stanza si versava un goccio di quel nettare, sotto l’occhio vigile del colonnello che sembrava aver abbandonato la sua favorita espressione arcigna. Ormai aveva saputo che il caso era stato risolto e se ne rallegrava fortemente, tanto che l’aria severa, che faceva di tutto per mantenere, si stemperava spesso in un sorriso raggiante.

“Allora, Pitt, si decide a raccontarmi la fine della caccia?”

La voce del capo del Reparto Speciale sembrò scuotere il sovrintendente dal beato torpore in cui era scivolato. Pitt si raddrizzò leggermente sulla poltrona, rivolse un leggero sorriso al suo attento uditorio e iniziò a raccontare, gli occhi fissi in quelli del suo superiore:

““Devo partire da avvenimenti accaduti oltre un anno fa  e ripercorrere con attenzione gli avvenimenti intercorsi fino al pomeriggio di oggi. Parlerò di fatti noti, svelerò particolari che le giungeranno nuovi, colonnello, ma spero di fornirle, alla fine, un quadro chiaro e preciso dei motivi e della circostanze che hanno portato alla morte di un uomo ed all’incredibile sviluppo della vicenda.

Prima di addentrarmi nella rievocazione dell’accaduto, però, desidero tratteggiare brevemente la figura della principale protagonista del dramma, Charlotte Miller detta Lottie. Vi devo avvisare” – precisò Pitt – “che è una storia ignobile e banale, come ne succedono tante nel mondo dello spionaggio. Io la conosco perché ho trovato una comunicazione riservatissima ricevuta da Ryerson e conservata nel suo dossier sulla Miller.

Charlotte “Lottie” Miller nasce ventidue anni fa in un piccolo villaggio dello Yorkshire. La madre era inglese, mentre il padre era nativo della Germania, trasferitosi qui in Inghilterra nel 1919 per sposare una nostra connazionale.  Da lui che la ragazza impara così bene il tedesco da parlarlo perfettamente già all’età di dodici anni. Insieme con l’idioma, il padre insegna alla figlia anche i destini gloriosi ed ineluttabili che sarebbero arrisi alla Germania sotto la guida di Adolf Hitler, l’uomo nuovo che avrebbe riportato agli antichi splendori la loro povera patria vessata dagli inglesi e dai francesi. Quella propaganda subdola e martellante sottopone la giovane ad una sorta di lavaggio del cervello. Crescendo, Lottie si trasforma in una bellissima ragazza, che sa affascinare chiunque la avvicini, uomo o donna che sia. Poi il padre muore, seguito dopo sei mesi dalla madre e Lottie resta sola. Grazie ad un po’ di risparmi ereditati dalla madre e riesce a tirare avanti per qualche tempo. Ma viene il tempo in cui deve trovarsi un lavoro e allora va a lavorare in una fabbrica che produce pezzi per automobili. Un giorno viene avvicinata da una sconosciuta, una donna molto bella ed elegante, che si presenta come un’amica d’infanzia del padre. Aveva saputo che la giovane in soli sei mesi era rimasta orfana e le sarebbe piaciuto prendersi cura di lei, se Charlotte era d’accordo. La donna si presenta così gentile e alla mano che Lottie si affida a lei con gratitudine. In men che non si dica, la giovane si ritrova a vivere in una splendida casa. La sua ospite, che si era presentata come Rose Ryan, la sistema  in una bella stanza, le procura un guardaroba nuovo di zecca e mette a sua disposizione  un maestro di danza e uno di equitazione. Ogni due giorni, Mrs Ryan intrattiene la ragazza con lunghe lezioni di bon ton, seguite dalla comparsa di un insegnante dall’aria funerea che le impartisce ossessive lezioni di tedesco. La signora Ryan, intanto, alimenta subdolamente la sua avversione per tutto quanto riguarda l’Inghilterra, riprendendo la tattica a suo tempo usata dal padre. Quando la donna ritiene giunto il momento di mettere alla prova la sua protetta,  la presenta ad un uomo alto, magro, con lo sguardo severo, tale Mr. Brown. I tre vanno in un ristorante, cenano, ballano  e per tutta la sera la ragazza ha l’impressione di essere continuamente sotto esame. Tre giorni dopo, Mr. Brown la convoca in un altro ufficio muffito e pieno di scartoffie. Senza girare troppo attorno alla questione, lo sconosciuto cominciando le parla di una grande missione che la attende. Le dice che era una privilegiata ad essere stata scelta per un compito della massima delicatezza, così vitale per gli interessi e la sicurezza della loro amata Germania. La guerra ormai è prossima a scoppiare ed occorre che gente di grande coraggio, abile e pronta a tutto, metta tutte le proprie capacità al servizio dell’esercito tedesco, che avrà bisogno di conoscere ogni informazione riservata riguardante le forze in campo britannico. Vuole lei entrare a far parte di quella eletta schiera di eroi? Sul momento, Lottie, forse spaventata dall’immane compito che le propongono, magari sentendosi anche inadeguata al ruolo, è tentata di rifiutare e chiede tempo per pensarci su. Più tardi, la missione che voleva affidarle Mr. Brown le sembra una sfida ad una nazione che tanto male aveva fatto alla sua durante e dopo la prima guerra mondiale, come le avevano insegnato fino alla nausea tutti i suoi consiglieri in materia, a cominciare dal padre. Decide per il “sì”, comunica alla signora Ryan di essere pronta a servire la Germania con tutte le sue forze. Da quel momento il suo destino è segnato. Tre mesi dopo, con la scusa di andare a trascorrere un po’ di tempo con la nonna paterna ancora vivente, effettua un viaggio in Germania. Qui era già tutto organizzato. Lottie viene accolta clandestinamente  in un campo di addestramento in Renania, dove studia per sette mesi le tecniche più moderne dello spionaggio. Tornata in Inghilterra, si arruola nella Sanità e viene mandata in Egitto nel 1940. Bellissima ed affascinante, spregiudicata, con un quoziente intellettivo nettamente superiore alla media, non fa fatica a stringere amicizie che potessero giovarle nella sua attività segreta. Agli inizi del 1941, il Servizio di Controspionaggio di Ryerson, appena avviato, le mette gli occhi addosso e lei è ben felice, naturalmente, di poter entrare nel “sancta sanctorum” dell’intelligence britannica. Potete immaginare, colonnello, quanti danni ci ha procurato in questi due anni scarsi! E pensare che ho scoperto il suo gioco grazie ad un oscuro responso di un’immaginaria indovina della Grecia antica!”

Pitt scosse la testa, allungò la mano verso la bottiglia di whisky poggiata sulla scrivania davanti a lui e si servì di una robusta razione, sotto lo sguardo vagamente critico di Woodside. Poi proseguì:

“Lottie, dunque, viene chiamata a far parte dell’elitario gruppo di operatori che compongono la Sezione Controspionaggio guidata dal generale Ryerson. È in possesso di tutte le qualità adatte a farla considerare un ottimo acquisto da parte del prestigioso organismo: intelligenza acuta,  notevole intuito, estrema disponibilità a svolgere ogni tipo di incarico. E poi è incredibilmente bella ed affascinante, persino la sua voce piatta e sgraziata contribuisce in un certo senso a donarle un elemento di interesse in più. Ryerson, dal canto suo, è poco per volta attirato nella sapiente rete della donna che ne lusinga abilmente la vanità maschile ed acuisce in lui, per la prima volta dopo oltre vent’anni, cioè dalla morte della moglie, il peso della solitudine sentimentale. In breve i due diventano amanti e Charlotte può considerarsi arrivata in cima alla scala. Gode di fiducia unanime, lì in Sezione; sotto i suoi occhi passano informazioni della massima importanza e segretezza che lei invia con messaggi cifrati a Berlino, firmandoli con lo pseudonimo di Nessuno; tutto, dunque, va per il meglio. Ma un brutto giorno il generale riceve una notizia sconvolgente da un suo abilissimo informatore che è riuscito ad infiltrarsi nel Servizio di spionaggio tedesco diretto dall’ammiraglio Canaris, entrando addirittura a far parte dello stretto numero di coloro che ricevevano e decrittavano i messaggi segreti provenienti dagli agenti segreti tedeschi disseminati in tutta Europa. L’uomo informa Ryerson che nella sua Sezione si è introdotto da tempo un agente segreto che lavora a favore dei tedeschi! Il generale è praticamente tramortito, annichilito dalla segnalazione. Una spia tedesca tra i suoi uomini! Non può, non vuole crederci! Ma poi il suo senso del dovere, la sua dirittura morale che gli impongono di servire lealmente e fedelmente la Corona, hanno la meglio sul suo profondo disorientamento e l’uomo recupera tutta la sua lucidità. Regola numero uno: non far trapelare assolutamente l’informazione, quindi non confidarsi con nessuno…anzi no, accennare all’informativa, senza dilungarsi troppo, solo con Burton, persona veramente al di sopra di ogni sospetto. Regola numero due: chiedere al suo uomo in Germania conferme dell’assoluta veridicità della notizia. E le conferme arrivano, integrate da un’altra segnalazione ancora più devastante: la spia è una donna! Ryerson è al culmine dello sconforto. Nella sua esemplare organizzazione alligna lo spettro del tradimento! È qualcosa di mostruoso, di abnorme che getta il generale nell’avvilimento più completo. Per giorni, un solo pensiero gli martella il cervello: chi sarà la spia? Nella sua Sezione lavorano solo tre donne, tra cui Charlotte Miller, ed una di loro tre, una persona alla quale Ryerson aveva concesso interamente la sua fiducia, ha rinnegato il suo giuramento di fedeltà all’Inghilterra, al re e a lui stesso! Ma il generale non è uomo da cedere per troppo tempo alla demoralizzazione. Vuole bere fino in fondo l’amaro calice ed escogita un’ingegnosa trovata. Compila tre falsi dispacci su carta intestata del Ministero della Guerra, in cui si descrive dettagliatamente un piano ardito, la cui riuscita muterebbe radicalmente le sorti del conflitto che sta insanguinando l’Europa: viene ipotizzato un raid avente come scopo il rapimento di Mussolini ad opera di un commando inglese. L’operazione avverrebbe in occasione di uno dei tanti viaggi effettuati dal Duce verso il suo “buen retiro” a Frascati, dove è solito incontrare discretamente il suo amore duraturo, la giovane Claretta Petacci. Il messaggio è identico in tutte e tre le copie, ad eccezione di un particolare: ogni foglio indica un mese diverso per l’effettuazione dell’incursione. La prima copia, infatti, indica il mese di luglio come quello scelto dagli incursori dell’esercito per agire; la seconda parla del mese di agosto, la terza del mese di settembre. Il geniale piano prevede che ogni giorno Ryerson deposito nel cassetto della sua scrivania uno dei tre fogli e che, con una scusa qualsiasi, incarichi una delle donne di andare a prenderlo e portarglielo.

Naturalmente, il generale si è premurato di annotare in segreto qual è il nome del mese indicato sul dispaccio che ogni giorno cade sotto gli occhi di ciascuna delle tre donne, così da scoprire immediatamente chi eventualmente ha in seguito trasmesso la notizia a Berlino…

Ryerson, difatti, ha già allertato il suo agente in Germania: gli faccia immediatamente sapere se nell’ufficio in cui lavora sotto copertura arriva dall’Inghilterra l’informazione che gli Alleati vogliono rapire Mussolini e per quale mese è prevista l’operazione. Nel frattempo, la trappola predisposta da Ryerson è scattata. Per tre giorni, il generale ha lasciato una copia del falso comunicato nel cassetto e ha spedito una delle tre donne a recuperarlo, prendendo nota del suo nome e del nome del mese segnato sul foglio. Adesso non resta che attendere quanto comunicherà da Berlino la spia inglese. Ryerson vive ancora una volta giorni duri. Si impone di essere forte, ma la paura che la traditrice possa essere la donna che ama non lo lascia un attimo. Passa una settimana e i suoi peggiori timori trovano una tragica conferma: il mese indicato nel messaggio segreto spedito ai tedeschi è quello di agosto e la donna che era andata a prendere  l’informativa contenente il riferimento al mese di agosto rispondeva al nome di Charlotte Miller.

Per Ryerson è una mazzata tremenda. Si sente tradito, offeso, umiliato e va a cercare la donna a casa sua. Qui la affronta con foga rabbiosa,  gettandole in faccia tutto il suo disprezzo. Alla fine le dice che l’indomani avvertirà del suo tradimento le forze speciali di Scotland Yard: questo significa l’arresto, il successivo processo e l’inevitabile condanna a morte. Lei non tenta nemmeno di negare, né ricorre alle lusinghe amorose per aprirsi una via di scampo. Con  freddezza disumana, sfida l’altro a porre in atto le sue minacce e gli ricorda soltanto che la Sezione controspionaggio riceverebbe un colpo mortale se la notizia di un simile scandalo trapelasse all’esterno. Ryerson, però, non intende ragione e ribadisce che nella mattinata del giorno dopo lei si ritroverà chiusa in una cella, da cui uscirà soltanto per andare davanti al giudice. Io mi sono già chiesto” – continuò Pitt con aria assorta – “perché il generale avesse concesso alla Miller un’intera nottata prima di farla arrestare. Sperava, forse, che la spia la sfruttasse per scappare? In questo caso, voleva salvare la donna che in fondo amava ancora, oppure gli stava maggiormente a cuore il buon nome del Servizio che dirigeva e desiderava davvero preservarlo dall’ondata di fango che l’avrebbe inesorabilmente investito non appena si fosse risaputo della presenza al suo interno di un’agente nemico? Non lo sapremo mai. Resta il fatto che i piani di Ryerson, di qualsiasi genere essi fossero, vengono vanificati dal suo assassinio. Quando Tellman mi fa il suo rapporto, mi dico che le circostanze della morte del generale sono quantomeno singolari ed arrivo a quella che mi sembra una riflessione del tutto logica:  escludendo influenze paranormali, Ryerson è stato pugnalato mentre si trovava ancora nel bosco. Mi rendo conto che avrei trovato certamente difficoltà, senza  il sostegno del referto dell’autopsia, a spiegare come mai un uomo ferito al cuore fosse riuscito a raggiungere con le sue gambe uno spiazzo abbastanza distante, prima di crollare al suolo, ma nell’analisi dei fatti ho tenuto presente il principio cui si ispirava Sherlock Holmes in qualche sua indagine particolarmente ostica: quando elimini l’impossibile, quello che resta, per quanto possa sembrare incredibile, dev’essere la verità. Non era possibile che qualcuno avesse pugnalato Ryerson nel punto in cui era caduto poiché c’erano ben quattro testimoni a escluderlo, quindi restava solo una spiegazione che, per quanto inconcepibile, doveva essere quella esatta: il generale viene assalito e colpito da ignoti mentre attraversa il bosco; nonostante la gravissima ferita, riesce a camminare fino a raggiungere il centro dello spiazzo; qui le forze lo abbandonano, egli cade, pronuncia un’enigmatica frase e muore.”

Pitt si era interrotto. Rimase per qualche istante in silenzio, guardando fisso il suo bicchiere. Poi, passando lentamente il polpastrello dell’indice sull’orlo del recipiente, riprese a raccontare:

“Ascoltando la dinamica della morte di Ryerson, dunque, maturo la convinzione che l’uomo sia stato aggredito prima di sbucare nello spiazzo. Incarico, allora, Tellman di ispezionare il bosco e il bravo sergente…non arrossisca, Tellman, dico solo la verità… mi porta due  indizi che mi sembrano promettenti: il medaglione e la testimonianza del perspicace marinaio della chiatta, il quale, nelle prime ore del mattino,  aveva visto uscire dal cancelletto di villa Ryerson un individuo con cappello e impermeabile che camminava in maniera molto somigliante a quella di una donna. Ripongo quelle informazioni in un cassetto del cervello e mi auguro che possano risultare utili nel prosieguo delle indagini. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, mi colpiscono due particolari piuttosto curiosi ed entrambi sono legati alla comparsa a Lodge Manor di una donna bella oltre ogni immaginazione che, purtroppo, ha anche una voce estremamente sgradevole: Charlotte Miller. La signorina arriva dal viale principale che è completamente pavimentato, eppure io noto che ha le scarpe sporche di fango, cosa che, a rigor di logica, non dovrebbe verificarsi se si cammina esclusivamente su lastroni di pietra. Altra stranezza: quando il maggiordomo le chiede se è stata importunata dai giornalisti, che si sono radunati davanti al cancello principale della casa subito dopo aver appreso la notizia della morte di Ryerson e da lì non si sono più mossi, la decorativa fanciulla risponde “quali giornalisti?”, facendo così intendere che lei non ne ha incontrato neppure l’ombra. Ma allora, mi chiedo io a questo punto, da quale ingresso la donna è entrata nella proprietà? Se non l’ha fatto attraverso il cancello principale, come i due dettagli citati indurrebbero a supporre, vuol dire che si è introdotta nelle pertinenze della casa usando il cancelletto situato in fondo al bosco. Ricorderete che dal cancelletto parte un sentiero che costeggia il muro di cinta dell’abitazione e si allunga, nascosto alla vista altrui dal bosco, fino a raggiungere l’entrata centrale e, di conseguenza, il viale pavimentato.  È questa la strada seguita dalla Miller? In tal caso, è logico che mi ponga un paio di domande: quale interesse recondito aveva l’ambigua fanciulla mentre tentava di far credere di essere arrivata dall’ingresso principale? E inoltre, che cosa cercava nel bosco? Forse il medaglione che il sergente aveva trovato nella mattinata? Non ho il tempo di riflettere a fondo sulla questione, perché successivi avvenimenti richiedono il mio impegno immediato, e così accantono, almeno per il momento, quella linea investigativa. Ma non la dimentico, questo no, tanto è vero che non esito a riprenderla dopo che  proprio in questo ufficio un riferimento alla Grecia classica del colonnello mi spalanca una nuova via, probabilmente quella giusta per la soluzione del caso.”

Pitt guardò sorridendo il suo capo, attendendosi quantomeno un cenno di assenso, ma dovette constatare che Woodside lo fissava con espressione spaesata, chiaramente all’oscuro del particolare al quale alludeva il suo sottoposto. Il sovrintendente capì che doveva  spiegare l’accaduto dettagliatamente, anche a beneficio delle altre tre persone che fino a quel momento avevano ascoltato la sua spiegazione dei fatti mantenendo un silenzio assoluto e partecipe. Pitt, quindi, ricominciò a spiegare:

“Alcuni giorni fa mi trovavo in questo ufficio e mi spaccavo come al solito il cervello nel tentativo di dare un senso compiuto all’ermetica frase che Ryerson aveva pronunciato alcuni istanti prima di morire. Mi incuriosiva, ad esempio, il metodo scelto dal generale per comunicare un’informazione che lui riteneva evidentemente fondamentale. Le forze lo stavano abbandonando, ma non la sua assuefazione alla segretezza, visto che pure in quelle condizioni disperate aveva trovato la lucidità per escogitare un mezzo che gli consentisse di depositare la notizia in orecchie fidate, come quelle di Burton che egli credeva di trovarsi davanti, confondendolo con Nash al quale il suo braccio destro somigliava moltissimo. Ecco allora che sussurra la sua ultima raccomandazione:

attenzione…uomo…non…cercate…nessun…colpevole.

Che significa una simile proposizione? Io non l’avevo decifrata, ma il colonnello Woodside mi ha fatto notare che quella frase gli ricordava il la risposta che la sibilla, un’indovina della mitologia greca, aveva dato ad un soldato che l’aveva consultata per sapere se sarebbe tornato vivo dalla guerra. La sibilla rispose: andrai tornerai non morirai in guerra. Bell’esempio di chiarezza, non siete d’accordo? Ed anche bell’esempio di perfidia, aggiungo io. Sì, perché se mettiamo una virgola per indicare dove fare le giuste pause nella frase, il significato del vaticinio cambia semplicemente spostando la virgola prima o dopo quel non. Primo caso: andrai non tornerai, morirai in guerra. Secondo caso: andrai tornerai, non morirai in guerra. Capita la differenza? Applichiamo lo stesso criterio alla frase di Ryerson e sistemiamo la virgola dopo il non, che è la soluzione che più ci interessa. Che cosa viene fuori?

Attenzione non uomo, cercate Nessuno colpevole.

Voi direte che Ryerson aveva scelto un procedimento assai complicato per trasmettere quanto da lui scoperto nei giorni appena precedenti, ma tenete conto che su tutto aveva prevalso la sua abitudine a rivelare certe scottanti verità dopo averle occultate dietro lo schermo di espressioni criptiche. In più, gli interessava che soltanto Burton capisse il riferimento a Nessuno. Quando io ho messo idealmente la virgola nel posto giusto, le intenzioni di Ryerson mi sono apparse chiarissime e finalmente ho aggiunto un altro tassello, estremamente utile, alla soluzione del caso. Il generale, infatti, aveva spiegato che non cercassero un uomo, nonostante il travestimento,  perché il colpevole del gesto delittuoso era Nessuno. Non sapevo ancora, in quel momento, chi fosse Nessuno, ma almeno avevo stabilito che, come supponevo da tempo, l’assassina era una donna. Ciò spiegava il medaglione, l’andatura strana per un uomo descritta dal marinaio della chiatta, il fango sulle scarpine e l’accenno ai giornalisti della Miller. Era stata lei, mi sono chiesto, a pugnalare Ryerson, il suo capo di Sezione? E per qual motivo? Erano due domande cardine, la base di partenza verso la completa spiegazione dei fatti. Mi rivolgo allora al qui presente capo della Sezione controspionaggio e riesco a sapere, dopo un milione di che scherzava – “che Ryerson aveva scoperto nella sua collaudata squadra uno spregevole individuo venduto ai tedeschi, una spia che mandava ai suoi padroni di Berlino messaggi contenenti notizie riservatissime, firmandoli col nome di Nessuno. Qualche giorno più tardi, vengo a sapere che il traditore è una donna! Sommando quest’ultima informazione a quelle raccolte in precedenza, la mia convinzione che l’assassina sia la Miller si rafforza notevolmente. Ma voglio accumulare  più indizi che posso e provo a chiedere ancora a Burton se ha mai visto il medaglione trovato nel bosco di Lodge Manor.

Bingo! Il mio prezioso amico Reginald mi dice che non ha mai visto il medaglione, ma che ricorda di aver notato la foto del bimbo nel cassetto di una delle donne che lavorano in Sezione. Io insisto per conoscere il nome della donna e mi sento rispondere che si tratta…indovinate di chi? Esatto, della Miller! Il giorno dopo, il colonnello mi consegna l’ultimo fascicolo di Ryerson e lì dentro trovo tutti i particolari che mancano alla mia ricostruzione dell’accaduto.

A questo punto, il quadro definitivo dice che Charlotte Miller è una spia e un’assassina.”

Pitt si concesse una brevissima pausa. Si alzò, anche per sgranchirsi le gambe, si versò due dita di whisky, imitato da tutti i presenti, ad esclusione del colonnello che beveva pochissimo, non si sa se per morigeratezza o per avarizia, poi si accomodò nuovamente nella sua poltroncina e si dispose a raccontare la parte finale del suo resoconto:

“Era arrivato il momento di gettare le reti ed issare a bordo la preda. Incarico Talbot e Tellman di porre la Miller sotto strettissima sorveglianza. Guai a perderla di vista anche un solo istante! Trascorre qualche giorno. L’ansia e l’inquietudine crescono col passare delle ore, ma non possiamo fare altro che attendere una mossa sbagliata da parte della Miller, una mossa che la inchiodi definitivamente. E il momento arriva. Nel pomeriggio di ieri, Tellman vede entrare la donna nel negozietto di un libraio, aperto dalle parti di Tottenham. Spiando attraverso la vetrina, il sergente l’ha notata porgere un libretto all’uomo dietro il banco, scambiare con lui qualche frettolosa parola e poi uscire e allontanarsi senza guardarsi intorno. Tellman non perde tempo: fa cenno al poliziotto d’appoggio, fermo poco distante, di seguire la Miller, entra nella piccola libreria, si qualifica e si fa consegnare il volume lasciato dalla donna, che del resto si trova ancora sul banco della bottega. Lo esamina e nota che alcuni gruppi di parole, nelle pagine interne, sono cerchiate oppure sottolineate. Che sia un codice usato per comunicare con i tedeschi? Ma il vero colpo di fortuna arriva quando Tellman scopre un foglietto nascosto nella fodera di cartone che riveste il libro. È un messaggio brevissimo, ancora in chiaro: Nessuno scoperto fuga necessaria attendere futuro contatto. Tellman mantiene lodevolmente la calma. Col suo fischietto fa accorrere un agente al quale affida il libraio in stato d’arresto per sospetto spionaggio, poi chiama la sede della polizia di zona per sapere se si è fatto vivo il poliziotto che sta nel frattempo pedinando la spia. Viene così informato che sorvegliata e sorvegliante hanno raggiunto la Tower Station e lì si sono fermati. Il sergente li raggiunge, si accerta che tutto sia sotto controllo e mi chiama in ufficio, chiedendomi di portarmi sul posto al più presto. Io mi dirigo celermente verso la stazione e vi trovo tutta la squadra, capitanata da Talbot e Tellman. La nostra indomabile nemica è nella sala d’aspetto, mi viene detto. Io guardo dentro e noto un individuo  seduto sulla panca contro il muro più lontano: indossa un impermeabile chiaro e ha il viso ombreggiato da un cappello a larga tesa. Entriamo tutti, assumendo una formazione a cuneo per bloccare qualsiasi tentativo di fuga. Ci fermiamo davanti alla figura immobile che finalmente si decide a sollevare il viso, svelando tutta la radiosa bellezza di Charlotte Miller. Non voglio prolungare troppo le formalità d’uso in questi casi, così dichiaro in arresto la donna e l’affido ad uno dei poliziotti prigioniera nel carcere di Dreaming Street ed io tento per ore di farmi raccontare da lei tutta la storia, a partire da quella mattina fatale in cui Ryerson,n era stato ucciso. Macché, scena muta su tutta la linea. Ad un certo punto, quasi infastidita, la Miller mi ha detto:

Ebbene, sì, ero nascosta dietro il tronco di un albero del bosco e lo stavo aspettando, poiché a quell’ora andava a pregare sulla tomba della moglie. Quando mi è passato davanti, sono balzata fuori e l’ho pugnalato…Certo, sono rimasta di sasso vedendo che non solo non cadeva ma che, addirittura, continuava a camminare verso la casa. Non potevo neanche vibrargli un altro colpo perché avevo sentito parlare nelle vicinanze e non volevo rischiare di essere vista da qualcuno…Sì, sono tornata sul posto nel pomeriggio per cercare il medaglione ed è stato allora che mi sono sporcata le scarpe di fango . Devo congratularmi con lei, poliziotto, per averlo notato. Bravo!...

Unicamente in un’occasione il suo sguardo si è addolcito per un attimo  ed è stato quando le ho chiesto chi era il bambino della foto nel medaglione e lei mi ha risposto che si trattava di suo figlio, affidato alle cure del padre in Germania. Ha infine risposto ad un’altra domanda soltanto: perché non è fuggita, le avevo chiesto, sapendo di avere davanti tutta una notte per farlo, visto che il generale aveva dichiarato che avrebbe atteso l’indomani per denunziarla? Lei, con calma, mi ha spiegato che aveva creduto al falso dispaccio concernente il rapimento di Mussolini e voleva restare in Sezione per saperne di più.  

Poi ha chiesto un bicchiere d’acqua e mi ha chiaramente detto che potevo farla rinchiudere in una cella, tanto non avrebbe aperto più bocca. E così è stato. Allora me ne sono andato e, per quanto mi riguarda, il sipario è definitivamente calato su Charlotte Miller detta Lottie, su Saville Ryerson e sulla loro storia intessuta di passione, inganni e risvolti tragici.”

Pitt, visibilmente esausto, fece cenno di avere terminato e si lasciò andare con un sospiro di sollievo  contro lo schienale della sedia. Gli altri si riscossero a loro volta, senza aprire bocca, poi di botto cominciarono a parlare tutti insieme:

“Mio Dio, che storia incredibile…”

“Burton, possibile che nessuno di voi abbia mai subdorato del marcio in tutto questo tempo?...”

“Non dimenticherò mai lo sguardo della Miller quando l’abbiamo arrestata…”

Solo il colonnello Woodside era rimasto silenzioso, immerso in pensieri palesemente  molesti. Guardava Pitt e sembrava deluso da qualcosa: che ritenesse insoddisfacente l’epilogo dell’intera vicenda? Se così era, il dio protettore degli amanti del sensazionale a tutti i costi decise di correre in suo aiuto. Squillò il telefono, determinando la discesa del silenzio nella stanza. Il colonnello rispose, ascoltò senza commentare per un minuto buono, ringraziò. Poi guardò Pitt e, con uno sguardo indecifrabile, disse:

“Mi ha appena chiamato il mio amico Follett di Scotland Yard. L’agente incaricato di vigilare sull’incolumità della Miller, si è insospettito vedendola immobile per troppo tempo sulla branda della sua cella ed ha avvertito il sergente di guardia. Sono entrati nella stanzetta ed hanno scosso la donna, senza alcun esito. È stato immediatamente chiamato il medico di guardia il quale ha percepito il lieve sentore di mandorle amare che si sprigionava dalle labbra della Miller ed ha capito subito che cosa era successo. Ha illustrato allora alle guardie i suoi sospetti e tutti insieme si sono messi a  cercare in giro. Poco dopo, il sergente si è accorto che dalla manica dell’impermeabile della donna mancava un bottone strappato da poco, come testimoniato dai fili ancora pendenti. Il  dottore ha così avuto la conferma che la Miller si era avvelenata con una capsula di cianuro di potassio modellata come un bottone, estremo gesto compiuto usualmente da agenti segreti che non hanno più alcuna via di scampo. Exit la spia, come annoterebbero tanti testi teatrali.”

Woodside accompagnò quest’ultima affermazione con una smorfia di rallegramento che celava a malapena una briciola di piacere luciferino, si versò per la prima volta nella serata una robusta razione di liquore e, con voce alta e squillante, propose un brindisi alla felice risoluzione del caso ed alla bravura degli investigatori. Tutti aderirono all’invito del colonnello con una comprensibile traccia di orgoglio e toccò infine a Thomas Pitt pronunciare l’epitaffio dedicato ad una giovane donna che aveva sacrificato alle lusinghe di un’aberrante ideologia le nascenti promesse di un’esistenza con ogni probabilità elettrizzante:

“Ha defraudato il boia del suo diritto al lavoro…e forse è meglio così. Addio, Charlotte Miller, che tu possa trovare la pace.”      

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